Astrattismo Fiorentino Mauro Bini Un percorso verso l'Astrattismo |
Cenno critico di Federico Napoli |
Proveniente dall’entourage del Gruppo “Nuova Corrente” - di cui per altro mai fece parte direttamente, ma che certo affiancò negli assunti ideologici, nello spirito di antitesi verso il neorealismo del tempo, nelle aspirazioni purtroppo a posteriori risultate anche un po’ utopiche - , Mauro Bini all’inizio degli Anni Sessanta si affida a grandi quadri figurativi pervasi di severa malinconia, a cupi interni ossessivi (1966/69), a gigantesche e smarrenti estensioni spaziali (1967/68). Da questo, che aldilà di possibili riferimenti culturali resta per Bini -come pure per gli artisti della sua generazione- un momento di grande entusiasmo nonché potentemente formativo, l’autore già dai primi Anni Settanta pare come riprendere dall’inizio il nodo dei problemi legati al linguaggio nella specificità artistica, per dipanarli secondo personali ed appartate formulazioni. Si distacca, così, dall’illustrazione della realtà per avvicinarsi ad una sorta di astrazione che, se pure più lontana dalla fonte di ispirazione, resta pur sempre pervasa da un generale senso di oggettività. Perché nonostante il rifiuto, per altro mai del tutto consumato verso il mondo fenomenologico, in Bini cambia piuttosto sin da quegli anni il modo di accostarsi alla pittura, volgendosi l’autore – e sempre più successivamente – ad indagare, evidenziandolo, il procedimento interno al “ fare arte” : l’identificazione di un linguaggio intrinseco alla materia, affrontata ora con risvolti matematici – “Successione modulare”, 1973/74 - , ora segnico/geometrici – “Struttura in espansione” - , 1985/89 ora quasi secondo un processo che chiameremo di detrazione – “Dinamica formale”, 1974/75 - . Questa ricerca di strutture primarie lentamente, ma decisamente ha formato in Bini un lessico artistico preciso, con regole ed espressioni idiomatiche: tra le prime, appaiono la conquista della terza dimensione e l’acquisizione di una sicura spazialità riprodotta e dilatata anche grazie alla ripetitività di forme e segni. Nelle seconde, si concretano in specie l’uso dei bianchi – che compensano le dimensioni delle opere divenute nel frattempo più contenute - , nonché il movimento che scaturisce dalla presenza di linee trasverse spesso, spezzate talvolta. Ma che sia il linguaggio l’elemento portante della pittura in Bini e della conseguente ricerca, lo si riscontra anche di fronte alla ripetizione – nella stessa opera o in una serie di esse – di forme eguali o similari, esperienze magari vicine a quanto aveva fatto una certa Optical, o in Italia tra gli altri Enrico Castellani, poi eclatantemente riproposte alla fine degli Anni Settanta nel Padiglione greco alla Biennale di Venezia. Vi è nel nostro autore un bisogno di ordinare il mondo, di trovarne l’intima struttura, di partire dal “modulo” per ricostruire fino quasi a raggiungere “forme virtuali”, secondo un processo che è costruttivo anche se non “costruttivista”, sviluppato secondo concetti ma non “concettuale”, strutturato per quanto non “strutturalista” .
Firenze, giugno 1990
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